La Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 12 ottobre 2020, n. 21961, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della individuazione del dies a quo del termine di decadenza per riassumere, a cura della parte non colpita da fallimento, il processo che sia stato interrotto ai sensi dell’art. 43 co.3 l.f., avendo ravvisato sul punto pronunce difformi.
A tal riguardo, le Sezioni Unite della Suprema Corte, con Sentenza n. 12154/2021_, hanno affermato che: “nella Relazione governativa di accompagnamento al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, l’introduzione del vigente comma 3 dell’art. 43 l.f. venne illustrata esponendo che In sintonia ai criterio di delega secondo cui occorre accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare, si dispone che l’apertura del fallimento determina l’interruzione di diritto del processo evitando così che lo stesso possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ex art. 300 c.p.c; successivamente, l’art. 7, comma 1, lett. 0b), decreto legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, introdusse un quarto comma, per il quale Le controversie in cui è parte un fallimento sono trattate con priorità. Il capo dell’ufficio trasmette annualmente al presidente della corte di appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un fallimento e alla loro durata, nonché le disposizioni adottate per la finalità di cui al periodo precedente. Il presidente della corte di appello ne dà atto nella relazione sull’amministrazione della giustizia; si tratta di una duplice, progressiva, operazione legislativa, volta da un lato ad attenuare, già con l’automaticità dell’interruzione dei processi pendenti, i costi latenti del contenzioso non endoconcorsuale e così, indirettamente, la durata dei fallimenti, oltre che, dall’altro lato, ad istituire regole di trattazione selettiva per tutti i processi in cui assuma la qualità di parte l’organo concorsuale, in un’unitaria riorganizzazione delle cause collaterali rispetto alla gestione in senso stretto del processo liquidatorio, la sola condotta in modo tendenzialmente officioso, secondo diversa e tradizionale specialità e in una posizione di istituzionale sbilanciamento fra le varie parti; al diritto domestico, in ormai necessaria correlazione attuativa, si affianca infine la DIRETTIVA (UE) 2019/1023 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 giugno 2019 riguardante (oltre ai quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni) altresì le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, ove all’art.25 lett. b) si prescrive che gli Stati membri provvedono affinché… il trattamento delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione avvenga in modo efficiente ai fini di un espletamento in tempi rapidi delle procedure”.
Difatti, “la descritta, più recente, collocazione istituzionale restituisce allora attualità alla problematica convivenza tra l’effetto interruttivo (determinatosi automaticamente con la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento ex artt. 16 u.co. l.f., 133 co. l c.p.c.) e la ripresa del processo, assoggettata dall’art. 305 c.p.c. ad un onere d’iniziativa temporalmente delimitato e condizionante, ove non assolto, il prodursi di una causa di estinzione… il novellato art.43 co.3 l.f., tuttavia, almeno nel testo ratione temporis applicabile, non indica con altrettale specialità quale sia l’evento da cui decorre il termine per detta riassunzione e dunque, finora, la ricostruzione di relativa decadenza o, rispettivamente, tempestiva attività della parte, ha rinvenuto nella evoluzione di lettura dell’art. 305 c.p.c. il pressoché esclusivo riferimento; il disegno di specialità, infatti, appare essersi compiuto solo con il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che, al corrispondente comma 3 dell’art. 143 l.f., oltre a replicare il precetto vigente, vi aggiunge una regola propria, per cui il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice”.
Pertanto, “la conservazione di compatibilità costituzionale dell’art. 305 c.p.c. e poi dell’art. 43 l.f. illustra pienamente il valore del diritto di difesa tutelato e che si declina nella necessaria conoscenza che le parti del processo debbono avere della causa d’interruzione, anche quando essa operi quale effetto automatico; la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità dell’art. 305 c.p.c., in relazione ai parametri degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui fa decorrere dalla interruzione del processo per l’apertura del fallimento, anziché dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo, il termine per la riassunzione ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita e dai soggetti che hanno partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento, con sentenza interpretativa di rigetto n. 17 del 2010 ha dato continuità ai princìpi espressi nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 305 c.p.c. in relazione alle ipotesi di interruzione ipso iure previste dagli artt. 299, 300 co.3, 301 c.p.c. (Corte cost. 139 del 1967, per l’interruzione nei casi dell’art.301 c.p.c., morte o impedimento del procuratore; Corte cost. 159 del 1971, per l’interruzione di cui agli artt. 299 e 300 co.3 c.p.c., parte costituita personalmente); in particolare, la pronuncia ha ricostruito la disciplina dell’interruzione quale ispirata alla «esigenza primaria di tutelare la parte colpita dall’evento» ed altresì «la parte cui il fatto interruttivo non si riferisce», dando atto del consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità che ne era seguito, per cui il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui di tale evento abbia avuto conoscenza «in forma legale» la parte interessata alla riassunzione, con la conseguenza che il relativo dies a quo «può ben essere diverso per una parte rispetto all’altra» ed ascrivendo, come detto, il caso del novellato art.43 co.3 l.f. ad una nuova ipotesi di «interruzione automatica del processo»; tale effetto segnerebbe pertanto la differenza rispetto al regime previgente, in cui il medesimo risultato derivava dalla dichiarazione in giudizio o dalla notificazione dell’evento interruttivo ad opera del procuratore costituito della parte; non avendo però la disposizione modificatrice previsto nulla per la riassunzione, la Corte ha soggiunto che «al riguardo continua a trovare applicazione l’art.305 cod. proc. civ., nel testo risultante a seguito delle ricordate pronunzie» e del «principio di diritto che sulla base di esse si è consolidato», riconoscendosi la identità di ratio e posizione processuale delle parti interessate rispetto alle altre ipotesi di interruzione automatica; la presa di conoscenza «in forma legale» dell’evento interruttivo automatico costituisce dunque il fatto cui ancorare il dies a quo del termine per la riassunzione o prosecuzione del processo, ma è anche il punto d’approdo di una prudente, quanto significativa, evoluzione concettuale e linguistica dell’impianto argomentativo costituzionale…”.
Da tale punto di vista, “un primo indirizzo ha preso le mosse, nella selezione dei mezzi d’informazione idonei a conseguire l’effetto conoscitivo, dalla necessità di concretizzare l’espressione della conoscenza legale, riversando in essa il momento in cui la parte interessata alla riattivazione del processo ex art. 305 c.p.c. abbia avuto l’informazione dell’evento interruttivo automatico, con modalità tali da essere documentabile e rilevante ai fini processuali, cioè una «dichiarazione, notificazione o certificazione, non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita» (in caso di dichiarazione del procuratore dell’attore circa la morte del procuratore del convenuto, Cass. 3085/2010), ma negando che il citato valore fidefaciente possa provenire personalmente da un atto della parte (Cass. 4851/2012)… il consolidamento della tesi più restrittiva della conoscenza legale è dunque pervenuto a fissarne il perimetro nella conoscenza formalmente conseguita dalle parti in causa all’interno del processo con le modalità previste dall’art. 300 c.p.c., vale a dire la dichiarazione del procuratore in udienza, la notifica al procuratore costituito ex art. 170 c.p.c., la certificazione dell’ufficiale giudiziario, non avendo alcuna rilevanza l’eventuale conoscenza dell’evento interruttivo di fatto acquisita aliunde, essendo la notificazione personale alla parte utilizzabile nei soli casi in cui si tratti di notiziare dell’evento interruttivo automatico la parte rimasta priva di procuratore…”; “un secondo indirizzo, attenuativo della rigidità tipizzata delle forme processuali intese come mezzi idonei a provocare, in capo al soggetto interessato alla riassunzione o prosecuzione del processo, la conoscenza dell’apertura del fallimento quale evento interruttivo automatico, risulta espresso nelle pronunce che impongono la necessaria e però ancora legale conoscenza anche dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare (Cass. 1879/2014), così non bastando l’acquisizione della notizia ricevuta dal patrocinatore officiato dal giudice delegato (per quanto di fatto conseguita, ma non per atto di fede privilegiata, Cass. 27165/2016)”; “un terzo orientamento ha tematizzato la decisività dell’ordinanza d’interruzione pronunciata in udienza, ascrivendole la portata di mezzo di conoscenza legale (Cass. 3782/2015), dovendosi però osservare che si tratta di una qualità strettamente dipendente non dalla mera pronuncia ma dalla correlazione che sia operata tra il riferimento alla dichiarazione di fallimento e il suo pervenire nella sfera di conoscenza del curatore…”; “una quarta serie di casi, dando coerenza simmetrica alla esigenza della duplice conoscenza in capo al curatore dell’evento interruttivo e del processo su cui esso incide, ha replicato il principio anche per la parte sulla quale non abbia inciso il fallimento, così non essendo sufficiente che un patrocinatore di questa ne sia investito, occorrendo invece, perché si abbia carattere legale della conoscenza, che essa abbia riguardo proprio allo specifico processo interrotto (Cass. 12890/2020) …”; “un altro quinto indirizzo, indulgendo verso una nozione di effettività, ha a sua volta affermato che la conoscenza legale della dichiarazione di fallimento, anche come fatto extra processuale, ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione del processo, può radicarsi in capo alla parte personalmente e non in capo al suo procuratore (Cass. 21325/2018, 15996/2019); nello stesso filone, Cass. 31010/2018 ha conferito rilievo alla comunicazione effettuata ex art.92 l.f. dal curatore, cioè l’avviso di apertura del concorso e l’avviso a presentare la domanda di insinuazione al passivo, se inviata al procuratore che difende la parte nel processo interrotto e vi sia riferimento specifico alla lite pendente…”.
Ora, “dal confronto della disciplina interruttiva, non automatica, del processo per morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace per ragioni diverse dal fallimento, secondo la regolazione dell’art.300 ai commi 1, 2 e 4 c.p.c., rispetto all’interruzione automatica, come avviene con il fallimento, si ricava peraltro che, nella prima, ricorre un tradizionale rigore, trattandosi di atti che hanno effetti costitutivi e si pongono all’interno della fattispecie interruttiva, tendenzialmente escludendo la rilevanza di atti diversi da quelli tipici, così che la dichiarazione di volontà e non di scienza, resa in udienza o notificata, deve essere certa, esprimendo la volontà che il giudizio sia interrotto; nella seconda vicenda, invece, per i casi di interruzione ipso iure, le forme di produzione della conoscenza dell’evento interruttivo, in capo alla parte interessata a riassumere o proseguire il giudizio, non risultano, in generale, predeterminate dalla legge processuale e si pongono all’esterno degli elementi costitutivi della fattispecie interruttiva, esse non avendo natura negoziale, bensì risolvendosi in atti partecipativi, i quali, non determinando ex se l’effetto interruttivo, solo consentono di individuare il dies a quo del termine perentorio di riassunzione o prosecuzione del giudizio”.
Alla luce di tali ragionamenti, la Corte di Cassazione è giunta alla seguente conclusione: “stante l’inidoneità della comunicazione ex art. 92 l.f. dell’avviso al creditore (tanto più se personalmente attinto dall’atto) e non contenente uno specifico riferimento al processo in cui era parte il fallito, a costituire dies a quo per la riassunzione del medesimo, integrando il relativo termine, invece, la dichiarazione giudiziale d’interruzione pronunciata in udienza e, nella fattispecie, risultando tempestivo l’atto di riassunzione; la conclusione viene dunque assunta sulla base del principio, reso a soluzione del contrasto dedotto con l’ordinanza di questa Corte n. 21961/2020 e ritenuto coerente con l’auspicio ivi formulato di una prognosi affidabile per le conseguenze della condotta processuale di ciascuna parte, per cui: «in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi dell’art.43 co.3 l.f., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt.52 e 93 l.f. per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176 co.2 c.p.c., va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima».